Uno delle argomentazioni scientifiche di
Saverio Fortunato che, sin dall’inizio, ha maggiormente attirato la mia
attenzione è stata quella con cui il professore, affrontando il problema del
ragionamento a base logica, pone in stretta relazione la perizia scientifica
e la logica matematica.
E’ proprio Fortunato, in un passo del suo
manuale di metodologia peritale, a dire: “...in matematica si ragiona
proprio con l’uso della logica”, traendo da questa affermazione la
conclusione secondo la quale “...se ogni matematico è uno studioso di
logica allo stesso modo un perito scientifico non può sfuggire alla
conoscenza della logica”.
Esaminando attentamente, alla luce degli
scritti di Fortunato, questa ultima affermazione, ci rendiamo conto di non
trovarci al cospetto di una costruzione logica in senso stretto, visto che
la premessa non è affatto legata alla conclusione, bensì alla presenza di un
articolato costrutto dialettico basato su tutta una serie di convinzioni,
peraltro abbondantemente elencate, spiegate e chiarite nelle varie edizioni
del manuale di metodologia peritale ed in altri testi e scritti dello stesso
autore.
E’ lo stesso Fortunato, in un’altra parte
del suo manuale Fortunato, a definire le proposizioni come frasi di senso
compiuto che consentono di affermare se un qualcosa è vero o falso.
La parola proposizione, vista in
quest’ottica, ha certamente un significato molto più esteso e complesso di
quanto non possa emergere dalla semplice definizione letterale.
Fortunato fa giustamente risalire il
concetto di proposizione ad Aristotele, che ebbe a definirla in questo
senso, tuttavia, se leggiamo attentamente il suo testo, notiamo che il
professore, ad un certo punto, aggiunge anche la frase “per primo”
lasciando intendere che Aristotele fu il primo, ma non l’unico, a
dare un senso a questa definizione.
In effetti, interpretando estensivamente il
passo del professor Fortunato, non possiamo non ricordare come il merito di
aver dato più ampio respiro al concetto di proposizione vada attribuito ad
uno dei più grandi logici di tutti i tempi, spesso paragonato per spessore
allo stesso Aristotele, creatore di quella posizione teorica che, assegnando
alla logica il ruolo di fondamento della matematica, prese per l’appunto il
nome di logicismo.
Stiamo parlando di Friedrich Ludwig Gottlob
Frege, logico e filosofo tedesco, vissuto a cavallo della seconda metà
dell’800 e la prima del ‘900, considerato padre della logica matematica
moderna e della filosofia analitica.
Azzardando una prima considerazione
potremmo legittimamente chiederci se Fortunato (fermo restando il sommo
rispetto per la logica aristotelica) sia sostanzialmente d’accordo con Frege
che, dopo oltre venti secoli, portò a compimento la sostituzione della
vecchia logica aristotelica genere-specie, con la nuova logica delle
funzioni e degli argomenti mutuata dalla matematica.
Se il professore è d’accordo, propendiamo
per un ragionevole sì.
Postulando, potremmo affermare che, se pure
vanno bene strutturazione della logica, sillogismi e principi logici di
stampo aristotelico, per una correlazione della matematica con la perizia
intesa in senso scientifico occorre rivolgersi a concezioni più moderne e
paradossalmente ancora più logiche.
Procedendo per sintesi, una concezione
fortemente anticognitivista alla Frege unita ad una stretta osservanza delle
regole di corrispondenza e coerenza logica che il professore, tornando
indietro nel tempo di pochi anni rispetto a Frege, ha mutuato da George
Boole ed in particolare dalla sua opera più importante An Investigation
of the Laws of Thought, on Which are founded the Mathematical Theories of
Logic and Probabilities del 1854, nella quale il matematico e logico
britannico propose una nuova impostazione della logica riconducendo le
composizioni degli enunciati a semplici operazioni algebriche.
Tiranneggiati come siamo dal breve spazio a
disposizione, crediamo di poter affermare che, in linea di massima, le fonti
di ispirazione del professore il quale, non dimentichiamolo, ha
sperimentato, primo tra tutti, l’assimilazione del ragionamento logico
matematico all’indagine peritale di tipo scientifico, vadano ricercate
all’interno di questa linea di pensiero.
Tuttavia Fortunato non è un matematico e,
come già proficuamente sperimentato per altre scienze, anche dalla
matematica estrae ed utilizza solo ed esclusivamente quello che gli serve
applicandolo alla sua idea personale di perizia scientifica e di scienza in
senso esteso.
A questo punto necessita
un doveroso inciso per dissolvere ogni malevola interpretazione.
A chi leggendo venisse
in mente di pensare che esplorare, estrapolare ed utilizzare, nella sostanza
ispirarsi e prendere spunto da scienze, saperi e teorie simili o diverse sia
poco scientifico o poco ortodosso, suggerirei di documentarsi sulla genesi
della teoria della relatività di Einstein, della teoria dell’evoluzione
della specie di Darwin, della teoria dell’attualismo
[i],
magari immaginando Aristotele che al lume di candela legge interessato,
annuendo e sottolineando, il Della natura di Parmenide.
Fine del doveroso inciso, torniamo al filo
del discorso.
Ci torneremo ragionando sul fatto che
Fortunato, se da una parte prende in prestito dal logicismo quello che gli
serve, ad uso e consumo della sua ambiziosa costruzione teorica, dall’altro
sa benissimo, non tacendolo, che Frege nell’ultima parte della sua vita fu
messo in chiaro enpasse da Bertrand Russel il quale, proponendogli la
notissima antinomia
[ii]
del paradosso del barbiere
[iii],
di fatto lo costrinse ad ammettere le carenze del programma logicista e
questo ancora prima che Kurt Godel con i suoi due teoremi di incompletezza
chiudesse la questione, dimostrando che lo scopo perseguito da Frege non era
raggiungibile.
E’ probabilmente per gli stessi motivi che
il professore, se da una parte afferma la necessità di rivolgersi
all’algebra boolena dicendoci che la logica peritale deve essere a due
valori V o F avvicinando in questo modo esplicitamente la matematica moderna
al tertium non datur, dall’altra non dimentica di citare nel suo
manuale, solo in nota ma in maniera significativa, le logiche polivalenti a
tre o più valori di verità.
Sempre nell’ambito della linea di pensiero
relativo all’uso dell’algebra boolena, nel manuale non manca neppure un
riferimento preciso all’informatica, nel particolare una risposta
sostanzialmente negativa, senza la necessità di ricorrere al test di Turing,
sulla questione se una macchina possa essere o meno in grado di pensare.
Probabilmente Fortunato, pur ponendosi il
problema, lo elimina rapidamente facendo proprio, talmente proprio da non
ritenere neppure opportuno citarlo, l’esperimento mentale della stanza
cinese ideato da John Searle.
[iv]
Semmai, volendo proprio disquisire, si
potrebbe obiettare sulla definizione del professore secondo la quale le
macchine intelligenti in realtà sono stupide.
Una affermazione che suona un po’ in
contraddizione con il concetto del V o F in quanto, dicendo che una macchina
non è intelligente ma stupida si apre la strada ad una stupidità sempre
minore che nel tempo potrebbe trasformarsi in intelligenza.
In sostanza la negazione di un attributo
non escluderebbe, anzi avvalorerebbe logicamente l’ipotesi, che nel concetto
generale di macchina quell’attributo possa esistere.
Ci domandiamo se quella del professore sia
stata una semplificazione lessicale puramente pratica dovuta al diverso
argomento trattato o, molto più semplicemente e banalmente, ad esigenze di
carattere editoriale oppure una via di uscita elegante, chiamiamola pure una
acrobazia dialettica, per non chiudere la porta in maniera definitiva alla
macchina logica assoluta che, almeno dal punto di vista della logica moderna
di stampo anticognitivista, potrebbe avvicinare la mente all’hardware
ed il pensiero umano al software.
D’altronde non stiamo parlando solo di
fantascienza, di Arthur C. Clarke e 2001, Odissea nello spazio
(ricordate Hal9000?) o di Isaac Asimov ed I, Robot, (ricordate le tre
leggi della robotica ed i problemi logici che via via si dipanano
dall’applicazione delle medesime?) ma anche di funzionalismo, di Hilary
Putnam e Jerry Fodor.
Abbiamo cercato di fare un breve e veloce
excursus, certamente incompleto ma significativo limitatamente agli
scopi di questo brevissimo articolo, sulle basi della concezione matematica
che Fortunato cita ed usa per la costruzione della sua teoria scientifica.
Quello che mi piacerebbe fare a questo
punto è dilettarmi nel fare lo stesso ragionamento del professore, ma
applicandolo alla scienza dell’investigazione, elaborando l’affermazione di
Fortunato citata in inizio di capitolo dopo averla modificata in questo
senso: “se ogni perito scientifico deve essere uno studioso di logica
allo stesso modo un investigatore non può sfuggire alla conoscenza della
logica”.
Interpretando la frase in chiave di domanda
sarebbe scontato rispondere affermativamente, spegnere il computer e
andare in spiaggia.
In effetti prendendo per buona una
qualunque delle tante definizioni scolastiche di logica, ad esempio, “Studio
dei metodi e dei principi che consentono di distinguere i ragionamenti
corretti da quelli scorretti” appare fin troppo evidente che, altro che
investigazione o indagine criminale, la logica è necessaria anche per fare
la spesa al supermercato o per comprare le ciabatte, valutando i vantaggi
delle infradito rispetto alle Crocs e viceversa.
Decisamente troppo facile, tanto da rendere
necessaria una drastica ritaratura del problema che non può limitarsi alla
semplice risposta alla semplice domanda, ma necessita di una ragionamento
più complesso.
Abbiamo detto più volte che stante
identiche finalità (raggiungimento di una “verità“
[v]
giudiziale) stesso ambiente operativo (per l’appunto quello giudiziario,
almeno in questo tipo di investigazione) ed una metodologia in larga parte
sovrapponibile, perizia scientifica ed investigazione sono sostanzialmente
diverse almeno in una fondamentale caratteristica: nel punto di partenza.
La perizia parte infatti da una o più
domande, precise e circostanziate, che prendono in esame elementi
fondamentali, spesso strutturali e fondanti, dell’intero problema,
diversamente dall’investigazione che parte esattamente da lì, dall’intero
problema.
La questione non è da poco se si considera
l’attenzione che persino Karl Raimund Popper nei suoi scritti e nel corso
delle sue lezioni, mentre pensava una nuova epistemologia, dedicò alla
questione quando, ad esempio, scrisse che: “... per risolvere i problemi
occorre l'immaginazione creatrice di ipotesi o congetture; c'è bisogno di
creatività, della creazione di nuove idee, buone per risolvere il problema”,
andando ben oltre, nella sua diatriba contro il positivismo logico ed in
particolare contro Wittgenstein, allorché non esitò ad inserire nella genesi
delle idee addirittura la vituperata metafisica, argomento tabù per i
neopositivisti (e non solo per loro).
Qualunque perito scientifico, anche uno
come Fortunato che ha più volte dichiarato, esplicitamente ed
implicitamente, la sua vocazione falsificazionista di stampo popperiano,
costretto come è dal quesito del giudice, può al massimo provare una punta
di invidia per una simile vastità di possibilità, ma nulla di più.
Condividiamo quindi, prima dal punto di
vista dell’affinità caratteriale che da quello della metodologia
scientifica, l’idea di Fortunato di lavorare proprio sull’orgogliosa
accentuazione delle differenze.
In sostanza, dando per scontato che la
logica debba essere patrimonio comune, voi (investigatori) divertitevi pure
con le vostre inferenze logiche creative mentre noi (periti scientifici) ci
spostiamo dalla parte della matematica; freddo rigore logico ed
autodisciplina per raggiungere lo stesso risultato … e ci vediamo al
traguardo….
Ovviamente questo non è il pensiero di
Fortunato, ma solo una chiave di lettura personale che, salvo contrario
avviso del Professore, potrebbe tuttavia avere un qualche fondamento di
verità.
Questa intricata e complessa sequenza che
partendo dalla logica ed attraverso passaggi successivi ci ha portato ad
unire il matematico, il perito scientifico e l’investigatore ci porta
direttamente alla vera questione che sostanzialmente potrebbe essere posta
nei termini seguenti.
Fortunato ci ha spiegato come il perito
scientifico cerchi la logica attraverso (anche) il rigore della matematica.
Abbiamo visto come questa tecnica
metodo-logica, in ambito peritale, sia resa più agevole dalla limitatezza
dell’orizzonte del problema, circoscritto a domande specifiche.
Per chi, affascinato da grandi orizzonti,
considerasse il termine “limitatezza” nella sua accezione negativa,
facciamo notare come lo stesso Fortunato ci conforti in questa affermazione
quando, trasformando in insegnamento quella che ad una mente ingenua
potrebbe apparire come una forma di costrizione, scrive:
“...Il perito
nel rispondere al giudice deve rimanere ancorato al contenuto del
quesito ed ignorare quanto si pone fuori dalla relazione
proposizione/fatto”.
Forse sbagliamo nel dire che Fortunato
tenta in tutti i modi, uso della matematica compreso, di focalizzare l’uso
sistematico della logica sulla porzione più delimitata ed asettica possibile
del problema?
Dando ciò per scontato, la domanda
successiva non può che essere la seguente: perché lo fa?
Lasciamo perdere traumi infantili, indagini
della personalità e tecniche psicoanalitiche perché sappiamo che il
professore ama molto queste tematiche ma è poco propenso a confondere il
piacere con il dovere.
Potrebbe allora essere una questione di
metodo.
Ma questa non è una risposta, tutt’al più
una conseguenza.
Una mia ipotesi è che Fortunato, facendo
proprio il paradigma della Social Cognition, se ne allontani poi il
più velocemente possibile attraverso l’elaborazione di una metodo-logia
metodo-logica basata in buona parte sull’uso della matematica preceduta da
una decontaminazione dagli agenti patogeni esterni finalizzata alla
eliminazione, per quanto possibile, sia dei processi top-down (schema
driven) derivanti da concetti, teorie, conoscenze già presenti in
memoria che dei processi bottom-up (data driven) desumibili
dall’analisi dei dati provenienti dalla percezione.
Qualcuno, primo tra tutti lo stesso Prof.
Fortunato, potrebbe obiettare che la Social Cognition, anche se al
momento rappresenta il paradigma
scientifico più accreditato nell'ambito della psicologia sociale, è soltanto
una delle teorie che riguardano il problema della conoscenza della realtà
sociale.
Ci mancherebbe altro che abbandonassimo il
terreno rassicurante del socratismo per avventurarci in affermazioni oltre
le righe, l’obiettivo che ci eravamo prefissi, prendendo come esempio questa
teoria, era semplicemente quello di esaminare una sfaccettatura della
realtà, una interpretazione, comunque settoriale ma significativa, del
problema della eliminazione della interpretazione soggettiva dal campo, in
questo caso specifico, della analisi peritale scientifica.
Ma se, come ebbe a titolare Robert Hopcke,
“nulla succede per caso” eccomi qua a rendere doverosamente conto del
perché sono giunto proprio alla Social cognition partendo da
Fortunato ed in particolare dalla sua piccola, gioiosa, ossessione per la
matematica applicata alla ricerca peritale.
L’assonanza delle idee ha preso il via dal
tentativo di avvicinare, per quanto possibile, perizia ed investigazione dal
punto di osservazione della matematica, ed in quest’ottica la Social
Cognition mi è semplicemente servita (questo è un innocente stratagemma
che ho imparato dal professore, non posso negarlo) per introdurre il
concetto di euristica.
Come noto le euristiche (termine introdotto
da Kanheman e Tversky che tanti studi dedicarono a questo argomento) altro
non sono che scorciatoie del pensiero, più tecnicamente strategie cognitive, che permettono ad ogni
singolo individuo di emettere giudizi, ricavare inferenze dal contesto,
attribuire significato alle situazioni e prendere decisioni a fronte di
problemi complessi o di informazioni incomplete, superando quel limite
strutturale del sistema cognitivo umano che, proprio in quanto
strutturalmente impossibilito a risolvere i problemi utilizzando
processi algoritmici, usa le euristiche al pari di efficienti strategie per
semplificare decisioni e problemi.
Stabilito che il perito scientifico, almeno
nella interpretazione di Fortunato, ha tutto l’interesse a tenere il più
possibile a distanza le euristiche, sfruttando al massimo delle sue
possibilità le pur limitate capacità algoritmiche del sistema cognitivo
umano, potrebbe essere plausibile affermare che l’investigatore debba invece
cercare di utilizzare al meglio il sistema euristico?
Sperando che una eventuale risposta se non
proprio positiva perlomeno dubitativa in qualche modo accontenti la maggior
parte dei lettori ed il Direttore Fortunato in primo luogo, proseguo nel mio
ragionamento, individuando alcuni punti cardine.
1.
l’euristica
nell’investigazione può essere utile in quanto, pur producendo
prestazioni non sempre accurate, spesso consente di fornire risposte
abbastanza soddisfacenti (salvo poi sottoporle a rigorose verifiche)
quali conseguenze del funzionamento naturale del sistema
cognitivo umano.
2.
Il ricorso alle euristiche è
tanto più probabile nelle situazioni in cui gli individui devono impegnarsi
nell’elaborazione di giudizi complessi in presenza di fattori che
diminuiscano l’accuratezza dei processi cognitivi (stanchezza, necessità di
dover prendere decisioni immediate, mancanza di tempo, tensione, confusione,
accumulo di stress sono solo alcuni degli elementi perturbanti che possono
facilmente presentarsi nella vita professionale di un investigatore)
3.
Nell’ottica di questo breve
scritto le euristiche potrebbero poi rendersi necessarie anche sulla base
della considerazione che il tentativo di matematizzazione che Fortunato sta
portando avanti per la perizia scientifica sia di difficile applicazione
nella scienza dell’investigazione visto che, per quanto si possa ridurre il
contesto del problema investigativo, non sarà mai possibile processare
algoritmicamente tutte le possibili soluzioni.
A questo punto va però fatta una
considerazione e cioè che, proseguendo su questa linea, ci andremmo ad
allontanare progressivamente ed inevitabilmente dal campo di azione del
Professor Fortunato.
Visto il contesto e soprattutto lo spazio
gentilmente concesso dobbiamo, per forza, riavvicinarci al Professore e lo
faremo dal versante dell’errore.
Cominciano applicando, sulla fiducia, un
assioma necessario per dare un minimo di base stabile a questa digressione:
un sistema logico matematico, se correttamente applicato sulla base di
assiomi corretti, è superiore, sul piano della riduzione dell’errore, ad un
sistema di logica naturale che si basi sull’euristica.
Detto questo prendiamo in esame le
principale euristiche, così come le andiamo a citare, integrandole a nostro
uso e consumo, dal testo Social Cognition della Università di Urbino
[vi],
laddove si parla di vantaggi e disfunzioni del ragionamento sociale.
Euristica della rappresentatività
(Quanto è rilevante l’esemplare A per la categoria B?)
Consente di ridurre la soluzione di un
problema inferenziale ad un’operazione di giudizio semplice. Viene
utilizzata per stimare la probabilità che si verifichi un determinato
evento; in particolare, per decidere se un certo esemplare appartiene a una
determinata categoria.
Il criterio utilizzato per decidere è
quello della rilevanza o somiglianza, mentre viene trascurata la probabilità
di base, causa dell’errore sistematico più frequente.
Indicativi in questo senso gli esperimenti
di Tversky e Kahneman (1974) e successivamente quelli di Fischoff e
Bar-Hillel (1984) che dimostrarono come i profili fortemente stereotipati
erano in grado di contrastare, fino ad annullarle, le probabilità a priori
fornite ai soggetti
Euristica della disponibilità (Quanto
probabile e frequente può essere un certo evento?)
Utilizzata per valutare la frequenza o
probabilità di un determinato evento, si basa sulla facilità e rapidità con
cui vengono in mente esempi che fanno riferimento alla categoria del
giudizio in questione. La stima di frequenza di un evento può essere
influenzata dalle tendenze sistematiche utilizzate nella ricerca di
informazioni, dalla particolare immaginabilità di un particolare
evento e dal riferimento al sé.
Gli errori più comuni riguardano la
sovrastima dell’ampiezza del campione, la sovrastima di eventi salienti
strani o estremi, la sovrastima dei propri contributi e la sovrastima delle
opinioni in accordo con la propria.
Per fare alcuni esempi (si tratta della
sintesi di studi di vari scienziati reperiti quà e là sul web) il
disoccupato, frequentando e conoscendo altri disoccupati, tenderà a
sovrastimare il numero dei senza lavoro rispetto alla persona occupata così
come la stragrande maggioranza delle persone tende a sovrastimare il numero
dei morti in incidenti aerei o ferroviari rispetto ai morti in incidenti
stradali esattamente come accade per il numero dei morti per omicidio o
attentato terroristico rispetto a quelli per problemi cardiocircolatori. E
che dire delle liti in ambiente domestico quando uno qualunque dei due
coniugi sistematicamente sovrastima il numero delle volte che si è alzato di
notte per rimboccare le coperte al bambino (Ross e Sicoly – 1979)
senza contare il “...cara/o ... eppure dovresti saperlo che tutti la
pensano come me!” (in tutta onestà quest’ultimo non è uno studio
reperito sul web)
Euristica della simulazione (Quanto
facilmente può essere ricostruito un ipotetico scenario?)
Non è una euristica a sé, ma costituisce
una variante dell’euristica della disponibilità.
E’ utilizzata per immaginare scenari
ipotetici relativi a come potrebbero evolversi o avrebbero potuto evolversi
certi eventi
La simulazione mentale di come certi eventi
avrebbero potuto svolgersi nel passato, o pensiero controfattuale (“se
non fosse successo così…”), ha importanti implicazioni per il giudizio
sociale e le reazioni emotive ad eventi drammatici.
Kahneman e Tversky (1982) notarono la
tendenza a prevedere nelle persone reazioni emotive più intense di fronte ad
accadimenti negativi quando era possibile immaginare scenari alternativi che
avrebbero potuto evitarli.
Lo stesso accadeva per le manifestazioni di
intensa gioia in presenza di eventi positivi quando era facile immaginare
percorsi alternativi.
Euristica di ancoraggio e
accomodamento (Quanto sono corretti i processi di stima di un valore a
partire da un dato valore iniziale?)
In situazioni di incertezza, per emettere
un giudizio, le persone tendono ad ancorarsi ad una conoscenza nota
accomodandola sulla base di informazioni pertinenti.
I propri tratti, le proprie credenze ed i
propri comportamenti rappresentano spesso punti di ancoraggio per il
giudizio sociale.
In questo caso l’errore più comune riguarda
la sovrastima del punto di partenza.
Molto indicativi in
questo senso gli studi condotti in ambito statunitense (Chapmane
Bornstein, 1996; Kalvene Zeisel, 1966; Raitzetal. 1990; Zuehle, 1982)
che hanno mostrato come, nel decidere l’entità di un risarcimento danni, la
richiesta della parte lesa fungeva da ancora per la giuria
[vii].
Sulla base di quanto sopra detto e partendo
dalla definizione scolastica di euristica, vista la limitatezza di quello
che è e deve rimanere solo un ragionamento localizzato e ristretto, si
potrebbe giungere ad evidenziare, in linea di massima, una conclusione
generica ed altrettanto scolastica sull’uso delle euristiche, del tipo:
Vantaggi – economia cognitiva ed efficienza
nella maggior parte dei casi
Svantaggi – produzione di giudizi
sistematicamente tendenziosi in certe condizioni.
Si può ipotizzare una prima affermazione
intermedia affermando come l’euristica soddisfi almeno due parametri
fondamentali, patrimonio delle scienze dell’investigazione.
Nel particolare:
1)
I vantaggi in termini di
economia cognitiva ed efficienza tipici delle euristiche uniti alla
sostanziale libertà di interpretazione dei segnali provenienti dal contesto
consentono di comprendere nella scienza dell’investigazione anche altre
inferenze logiche quali, ad esempio, induzione ed abduzione, ostiche oltre
che a Popper, tanto per citare uno dei più noti avversatori di tali
inferenze, anche a Fortunato che le considera lontane dalla sua concezione
di scienza, almeno in senso peritale.
2)
Gli svantaggi legati alla
produzione dei giudizi sistematicamente, o anche solo molto probabilmente,
errati ci può aiutare a capire quanto scrive Sidoti nel suo
Investigazione e scienze umane, allorché nel capitolo dedicato agli
errori e distorsioni cognitive afferma, tra le altre cose, che
“…
l’errore è spesso non soltanto involontario e spontaneo, ma fisiologico,
poiché siamo elaboratori di informazioni condannati a distorsioni
interpretative della più svariata origine”.
Sperando che questo ragionamento possa
essere perlomeno considerato come una fonte di dubbio e come tale preso in
considerazione, si potrebbe a questo punto azzardare di porre una questione.
Se Fortunato, nella scienza peritale, ci
insegna a lavorare utilizzando la matematica per restringere al massimo il
nostro campo di azione con il fine di allontanarci il più possibile
dall’errore è possibile, per la scienza dell’investigazione, seguire un
ragionamento opposto accettando la presenza dell’errore come parte stessa
della teoria, riflettendo ed agendo direttamente sulle cause generanti
l’errore stesso?
Tanto per fare un esempio, se nei casi di
infanticidio puntare immediatamente sulla madre (o sul marito nei casi di
uxoricidio) rappresenta il filone di indagine certamente più probabile,
efficiente ed economico oltre che statisticamente probabile, potremmo
legittimamente continuare a farlo, mantenendo però ben chiara la convinzione
che potrebbe trattarsi di un errore o almeno che vi siano concrete
probabilità che poi alla fine si riveli tale, e questo non perché siamo poco
abili o poco intuitivi, diciamo poco detective, ma perché, come ci ha
detto Sidoti, siamo limitati nella
conoscenza, inclini all’errore, alla dismisura, alla faziosità, alla
progettualità dissennata e spropositata.
Se poi, in ambito gnoseologico, ai
sopraccitati limiti umani individuati da Sidoti aggiungiamo l’impossibilità
di applicare all’investigazione la logica a tutto tondo di Fortunato e i
difetti del sistema euristico uniti, non di rado, alla voglia di
protagonismo, al desiderio di apparire, al narcisismo e carrierismo,
all’opportunismo, a sensi di colpa, all’effetto alone ed al bisogno di
coerenza (questi sono ragionamenti di Fortunato) si può ben immaginare come
l’errore giudiziario diventi praticamente inevitabile, almeno su base
statistica.
Qualcuno potrebbe dire: “bella scoperta,
un lungo ragionamento per arrivare ad una conclusione scontata”.
Obiezione accolta, d’altronde non
pretendendo di avere ragione e rivendicando il mio sacrosanto diritto ad
avere torto
[viii]
non intendo proseguire oltre nel tentativo improvvido di dare soluzioni o
risposte su questo argomento.
Fortunato invece ci prova, perseguendo
questo obiettivo nel campo della perizia scientifica.
Come conclusione, e come riflessione
personale, penso che Fortunato, in quanto perito scientifico, abbia più
possibilità di avvicinarsi alla migliore riduzione possibile dell’errore, di
quante non ne abbia l’investigatore.
Non solo perché i problemi che lui affronta
sono più circoscritti, ma anche perché, proprio per questo, può meglio
amalgamare i diversi saperi, scienze e conoscenze con il fine di ridurre e
limitare il più e meglio possibile gli effetti delle interferenze negative.
Non mi sembra di dire nulla di nuovo o
particolarmente ardito affermando che un accorgimento utile, in campo
investigativo, potrebbe essere quello di aumentare i sistemi di controllo e
le strategia di verifica, ovviamente non solo in senso tecnico-giuridico ma
anche dal punto di vista della formazione logico-scientifica degli
investigatori, sia a livello operativo delle forze dell’ordine che al
livello della magistratura.
Nella sostanza abituando l’investigatore
tout court non solo a riconoscere i ragionamenti errati o a rischio o a
valutare le possibilità di errore ma anche a capire da quali limiti della
mente, dei meccanismi di elaborazione delle informazioni e della ragione
umana essi vengono generati e perpetuati.
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