Questo volume è un importante contributo alla definizione delle
tematiche che interessano criminologi, criminalisti, periti e consulenti
tecnici in ambito giudiziario. Volentieri ho scritto la prefazione per
la prima edizione; ancor più volentieri scrivo la prefazione per la
seconda edizione, tentando di inquadrare l’opera nel campo culturale di
appartenenza.
In
prima battuta bisogna osservare che l’opera stimola ed arricchisce la
discussione in un settore che lascia a desiderare sotto vari profili.
Per un’ampia serie di ragioni, la criminologia, la criminalistica,
l’investigazione vivono in Italia una vita grama, largamente in
contrasto con gli sfolgoranti inizi dell’epoca lombrosiana.
Quasi per compensazione, in un panorama deludente, la situazione
italiana è però caratterizzata dalla positiva incidenza della
magistratura, che ha in Italia un ruolo senza pari negli altri Paesi
occidentali. L’opera del professor Fortunato si impegna innanzitutto con
genuina passione in favore di una leale collaborazione dei periti con
gli organi giudiziari, condotta nella maniera più avvertita possibile.
Non a caso questo volume contiene testi assai rilevanti ed illuminanti
di due magistrati. E’ infatti indispensabile un pressante controllo di
legalità della magistratura nel percorso investigativo e sono favorevole
ad ogni tentativo di migliorare e rafforzare questa maniera di vedere il
lavoro peritale. Valutata la contraddittorietà e la opinabilità di
numerosissimi risultati peritali, per fortuna il Giudice è peritus
peritorum! Per una serie di intricate ragioni, in Italia la
magistratura ha dovuto svolgere un ruolo di supplenza anche in questo
campo, sviluppando per necessità competenze ed anticorpi.
Tanto è avvenuto sul piano strettamente professionale, e si coniuga con
quanto è avvenuto sul piano strettamente politico e morale: è stranoto
che molti magistrati hanno dato luminoso esempio di virtù civili e
professionali in un contesto nazionale che a volte purtroppo lascia a
desiderare.
Il
volume insiste inoltre in una direzione finora non sufficientemente
esplorata: il profilo squisitamente metodologico, che ha una importanza
enorme negli studi odierni relativi alla investigazione, alla
criminologia, alla criminalistica, al lavoro peritale in genere. Secondo
il professor Fortunato, il consulente o perito non può essere soltanto
un esperto in un determinato ambito tecnico disciplinare (medico-legale,
psichiatrico, psicologico, balistico, ingegneristico eccetera), ma deve
avere alcune basilari conoscenze metodologiche, senza le quali un sapere
meramente specialistico rischia di pervenire a risultati erronei.
Condivido pienamente questo punto di partenza in merito alla necessaria
connessione tra sapere metodologico e sapere specialistico. Errori,
dubbi, polemiche hanno costellato la nostra storia giudiziaria, dai
grandi processi di mafia ai tanti delitti classificati come compiuti da
autore ignoto (mentre molto probabilmente il colpevole aveva lasciato
una qualche traccia, non raccolta, repertata, valutata nella maniera
idonea). Dall’inizio della Repubblica, milioni di persone sono rimaste
coinvolte ingiustamente in procedimenti giudiziari; ogni giorno, grosso
modo, c’è in Italia un innocente che viene mandato in galera e un
assassino che riesce a farla franca.
Non
è un problema soltanto italiano; è documentato che negli Stati Uniti una
spaventosa percentuale di condanne a morte è viziata da errori di vario
tipo.
Secondo uno studio assai documentato, gli errori più sconcertanti si
riscontrano in oltre la metà dei casi! Non c’è da meravigliarsi: l’11
settembre
e le
polemiche sulle motivazioni della guerra in Iraq hanno dimostrato fra
l’altro quanto sia difficile un lavoro investigativo rigorosamente
basato su fatti e prove. Questa consapevolezza mi ha portato ben prima
dell’11 settembre alla fondazione di un Corso di Laurea in Scienze
dell’Investigazione, che ha ottenuto successo proprio perché, fra
l’altro, corrisponde ad un bisogno diffuso (e insoddisfatto) di
giustizia e di certezze.
Nella prefazione alla prima edizione di questo volume scrivevo: “Nei
tentativi pionieristici si rischia a volte di fare il passo più lungo
della gamba. Non sono d’accordo su tutto quanto ho letto in questo
volume, anche perché non sono (e non posso essere) competente su tutto
quanto viene presentato.
Nei
campi specialistici che conosco meglio, come nel caso delle critiche
agli eccessi del fondamentalismo psicologico e psichiatrico, mi trovo
d’accordo”.
Questa mia precisazione non era un tentativo di prendere le distanze:
rappresentava la piena adesione al manifesto epistemologico del volume,
che riconosce l’ignoranza, il dubbio, il fallibilismo come elementi
fondamentali. Di fatto, su molti temi criminologici, io stesso nel corso
del tempo ho cercato di migliorare o rielaborare le mie conoscenze, sia
in settori specifici sia in un ambito di carattere più generale.
Ma oggi, come allora, riconosco che su alcuni temi il professor
Fortunato ha una competenza maggiore della mia, coerentemente con quella
autorità di criminologo clinico conquistata dopo anni di studi e di
sacrifici. Nella parte più propositiva, infatti, questo lavoro nasce
dalla ricerca di tesi presentata presso la prestigiosa Facoltà di
Medicina dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dove l’autore ha
coronato il suo itinerario formativo di criminologo clinico e dove gli
studi criminologici hanno una tradizione e un’autorevolezza consolidate.
Sul
piano strettamente metodologico, avrei qualcosa da aggiungere, come
accade a tutti gli specialisti che leggono il lavoro di un collega. Ma
tutte le possibili aggiunte debbono arretrare al cospetto dei meriti del
volume. In particolare, c’è un punto sul quale si ribatte
frequentemente: i limiti odierni delle perizie, spesso formulate con
poca cognizione dei confini strettamente metodologici.
Per
quanto riguarda gli studi psicologici e psichiatrici, ad esempio, esiste
un notevole consenso sui rispettivi limiti, come scienze di certezze
(mentre, ovviamente rimane indiscusso il grande valore come strumento
terapeutico e interpretativo, quando è in buone mani). E’ in proposito
significativo che la rinascita internazionale della psichiatria
biologico-organicista avvenga in un ambito che è stato ritagliato
proprio per l’impossibilità (ed a volte l’impresentabilità) di risultati
decenti in ambiti tematici confinanti. Le molte critiche devastanti alla
psicanalisi possono in larga misura essere estese anche a quella
psichiatria che nasce e cresce in concorrenza con la psicanalisi, ma per
sovrapposizione, copiandone dunque a volte in maniera acritica
precisamente gli assunti metodologici più inconsistenti, come la
presunzione dell’analista di potersi calare al pari di un sempre
luminoso speleologo dentro qualunque buia voragine dell’anima umana.
Questi limiti sono ancora più evidenti ed eloquenti in certe analisi
impropriamente dette criminologiche, ma effettivamente condizionate da
un livello formativo che include conoscenze psicologiche e psichiatriche
ancora inferiori rispetto ad una formazione specialistica.
Al di là del piglio battagliero
di alcune parti dell’opera, rimane importante e decisivo che l’autore
sia consapevole di quanto le proprie righe sono in parte provvisorie:
andranno modificate, arricchite, integrate con varie altre conoscenze
scientifiche. Questa impostazione rifulge dove l’autore scrive che il
perito deve avere ben chiaro che la cosa più importante non è dare la
risposta giusta, ma evitare la risposta sbagliata. In questa
impostazione epistemologica esistono molte verità: quella processuale è
soltanto una verità ed a volte non è la verità vera, come hanno
insegnato magistrati eminenti, a cominciare da Ferdinando Imposimato,
che scrive: “Nella mia non breve esperienza, non è stato infrequente
l’errore dei periti. Insomma, compiono spesso il loro lavoro sotto la
spinta di fattori emotivi, di elementi extrascientifici che li conducono
a conclusioni lontane dalla verità. E questa è una delle cause più
frequenti dell’errore giudiziario. Non mi riferisco soltanto ai periti
psichiatrici, ma anche a quelli balistici, grafici, ai medici legali in
genere. Le perizie, specialmente nei grandi processi, sono un dato
costante della ricerca della verità. A volte allontanano dalla verità,
perché compiute da persone che non sono in grado di far bene il proprio
lavoro - anche se solo raramente si tratta di persone in malafede”.
Nel
processo, il metodo è talmente importante da essere spesso preminente
rispetto al merito: una prova vale in quanto è stata raccolta seguendo
regole e procedure delimitate preventivamente nella loro ammissibilità.
I principi della pubblicità e della replicabilità sono dal punto di
vista del metodo peculiarmente connessi, sia nella ricerca scientifica
sia nell’investigazione giudiziaria: nel processo d’appello giudici
diversi ripercorrono un determinato itinerario processuale, allo stesso
modo di come in laboratorio un gruppo di ricercatori ripercorre le varie
fasi di un determinato esperimento scientifico. In molte indagini spesso
il quadro indiziario è polivalente e, in mancanza di prove certe,
nessuna ipotesi può essere esclusa. I pubblici ministeri lavorano, più
che su certezze, su quella che è definita “l’ipotesi preferibile”,
sorretta da un livello molto alto di probabilità. Il ragionevole dubbio
esclude l’ipotesi peregrina.
Anche per quanto riguarda
l’ipotesi preferibile, il processo non sempre produce certezze
giuridiche e non sempre produce ricostruzioni completamente attendibili;
di norma produce soltanto probabilità di grado elevato, con rilevanti e
frequenti errori, fraintendimenti, ingiustizie. Nella prospettiva di un
diritto penale minimo e mite, tanto più è modesta l’attività
giudiziaria, tanto più sono ridotte le possibilità dell’errore e
dell’inganno. La teoria giuridica ha osservato che, nella determinazione
di probabilità conclusiva del processo, non c’è alcun criterio
matematico o rigido sul quale confidare, e ci si deve confrontare con
una “prevalenza rilevante”.
Insomma, pur partendo da un’ipotesi affidabile, nel discorso giuridico
la prova non è mai definitiva.
Al centro del processo c’è la
ricerca della prova, raccolta in maniera conforme a regole e in maniera
da poter essere correttamente utilizzata. Ma questa ricerca si svolge
dentro una controversa e contrastata battaglia cognitiva, che alla fine
non sempre risolve lo stato di incertezza probatoria e spesso mette in
questione la stessa attendibilità della decisione giudiziaria.
Nel
processo, in termini specifici, si deve parlare di un “risultato di
prova”, non della prova intesa in un senso banalmente
vetero-positivistico, come nel caso del codice penale italiano del 1930
o nel senso a volte ambiguo delle innovazioni codicistiche successive.
Come è stato detto impeccabilmente da Franco Cordero: “muto in se
stesso, ogni indizio conta gnoseologicamente quale termine di una
concatenazione causale”; tanto vale per ogni “fatto” nell’argomentazione
processuale: muto in se stesso, ha valore all’interno di una
concatenazione razionale.
Il
punto è centrale per la logica di ogni investigazione: il processo
penale non produce certezze, anche dopo una sentenza definitiva! La
verità processuale naviga tempestosamente tra ipotesi, abduzioni, prove
preferite, prove rifiutate, e comunque non approva nel porto definitivo
di una imperturbabilità dogmatica. Alla fine, l’investigazione
sull’investigazione è una lezione di estrema modestia e di misurata
prudenza.
Nella difficoltà di attingere la verità definitiva su una determinata
contingenza fenomenica (mentre le verità parziali, di parte, possono
essere più o meno fedelmente rappresentate), gli aspetti metodologici
hanno un rilievo preminente e sono comunque di importanza non
secondaria, perché riescono a delimitare quanto effettivamente è
conoscibile e dicibile, lasciando da parte ipotesi, speculazioni,
illazioni, che hanno diritto di cittadinanza come partenza, fermento,
accompagnamento dell’itinerario conoscitivo, ma rimangono completamente
esterne alla sua logica e alle sue conclusioni. Mi è accaduto di
scrivere la premessa ad un manuale di criminologia, mentre il
Procuratore Nazionale Antimafia Piero Luigi Vigna scriveva per lo stesso
volume una splendida prefazione, che cominciava con una definizione
della criminologia come “oggetto misterioso” e terminava con un elogio
del dubbio, come “insostituibile momento preliminare del conoscere”11.
Spero che la lettura di questo manuale del professor Saverio Fortunato
costituisca l’occasione per far aumentare dubbi e cautele, dunque
preparazione metodologica.
E’
vero che viviamo in una “società dello spettacolo”, incline a mettere in
evidenza gli aspetti più appariscenti e sensazionalistici dell’agire
umano, con un frequente ricorso a certezze illusorie e consolatorie12;
ma l’attività di collaborazione con i magistrati è un’attività di gran
lunga differenziata, che si appella alla scienza, un valore che secondo
molti si potrebbe porre allo stesso livello della giustizia. La scienza,
come la giustizia, si nutre di cautele e di dubbi prima ancora che di
certezze. La preparazione metodologica è un rimedio importante contro la
proliferazione dell’azzardo, dell’errore, dell’inganno.
L’Aquila, 15 luglio 2007
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Note ..................................................................................................................
In generale, cfr. P.
Bourdieu, Les Règles de l’art. Genèse et structure du champ littéraire,
Seuil, Paris 1992; P. Bourdieu, Science de la Science et Réflexivité.
Cours au Collège de France
2000-2001, Raison D’Agir, Paris 2001, trad. it., Il mestiere di
scienziato, Milano, Feltrinelli, 2003. Per maggiori considerazioni in
merito allo specifico campo culturale esistente in Italia sui temi della
sicurezza, della criminologia, dell’intelligence, mi sia consentito di
rinviare alla mia Prefazione al volume dell’ambasciatore Domenico
Vecchioni, Spie.
Storia degli 007 dall’antichità
all’era moderna, Olimpia, Sesto Fiorentino 2007; adesso e in seguito, il
rinvio a mie altre opere deve essere inteso come una segnalazione di
approfondimenti che per ragioni di spazio non posso specificare in
questo contesto.
Cfr.. F. Sidoti, Criminologia e investigazione,
Giuffré, Milano 2006.
Cfr. F. Sidoti - A. Casto,
Macchina della verità. Inventata in Italia ha successo negli USA,
perché?, Laurus Robuffo, Roma 2007, con prefazione di Alberto Intini.
Cfr. F. Sidoti (a cura di),
L’investigazione e le scienze umane, con prefazioni del giudice
Piero Martello e del prefetto Carlo Mosca, Edizioni Libreria Colacchi,
L’Aquila 2005, p. 171.
Cfr. i riferimenti discussi in F.
Puleio, Prova scientifica e ricerca della verità, in “Diritto e
giustizia”, gennaio 2006, a. VII: F. Cordero, Note sul procedimento
probatorio, in Jus, 1963, e Carnelutti, Accertamento del
reato e ‘favor rei’, in Riv.dir.proc., 1961, p. 342.
F. Cordero, Procedura penale,
Giuffrè, Milano 1991, p. 555.
F. Puleio, op. cit., p. 62. |