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Nel
libro senso e coscienza nelle scienze criminali, il prof. Saverio
Fortunato, a proposito della conoscenza e della contemplazione,
testualmente, scrive: "Ci deve essere una demarcazione tra la
conoscenza e la contemplazione". Poi, proseguendo: “Catalogare,
incasellare, inquadrare, etichettare, attribuire nomi o marchi alle
cose, alle condotte, ai comportamenti, ai pensieri, allo spirito,
all’anima, ai fenomeni non è scienza; Socrate sosteneva che la migliore
forma del sapere è il sapere di non sapere. Queste indicazioni sono
importanti, sul senso gnoseologico del termine sapere, perché si lega
al presupposto della consapevolezza dei propri limiti. Socrate
affermava che proprio il fatto di essere consapevoli della propria non
conoscenza, spinge l’uomo a sforzarsi di raggiungere la conoscenza: se
si è convinti di sapere già tutto non ci si sforzerà a migliorare.
Nel corso peritale di grafologia forense di Calenzano, il prof.
Fortunato ha sempre rimarcato ciò che si legge nel suo Nuovo Manuale di
Metodologia Peritale: "L'atteggiamento dello spirito del ricercatore
scientifico è scettico e dubbioso, per questo è essenziale in ogni
indagine, se si vuole arrivare a qualche conoscenza. Fortunato, dunque,
riprende Socrate. Difatti il filosofo Socrate affermava: l’interesse
verso il mondo umano, la non curanza per l’indagine naturale, il ripudio
a qualsiasi scienza precostituita accomuna la teoria a sostegno che il
confronto dei diversi punti di vista è giustificabile soltanto come
veicolo di ricerca che valga a far pervenire al vero.
Al crepuscolo dei secoli trascorsi dal periodo socratico nelle lezioni
si è sempre inteso concepire la discussione delle attività tra periti
tutt’altro che trasversale, affinché si assuma il carattere di indagine
comune caratterizzata dal confronto con se stessi e dal reciproco
chiarimento razionale. Nell’esaminare le attività peritali opposte, nel
corso del confronto, è necessario mettere il perito di fronte alla
contraddittorietà delle sue opinioni, qualora siano sostanzialmente
false per indurlo alla ricerca del sapere vero. Nella sostanzia dei
comportamenti e di fronte a certe infondatezze dell’avversario, lo
stesso Socrate si proclama ignorante e nel contempo suo ammiratore in
quanto successivamente con abili domande ne rimette in discussione le
certezze al fine di provocarne la crisi interiore; un disorientamento
che si concreti nella consapevolezza dei limiti personali, nella
coscienza dell’ignoranza che sottende al falso sapere.
Se nella ricerca si volesse riportare anche il metodo dell'ironia usata
da Socrate per far partorire la verità, allora non va intesa nel
processo peritale nel senso di una presa in giro dell’avversario, ma
come momento demolitorio che precede la ricerca vera e propria del
sapere, al pari della levatrice che con la sua arte, la maieutica, aiuta
la nascita del bambino, così deve fare il vero maestro con chi si trova
impegnato nel travaglio del superamento dei propri limiti per acquisire
il sapere.
L’induzione nel pensiero socratico riguarda il sapere teorico. Accanto a
questo possiamo porre il sapere pratico, che presiede all’esercizio
delle varie arti ed è costituito dalla competenza di chi lo possiede,
misurabile dalla capacità di agire in funzione dei fini utili.
E’ con grande soddisfazione che puntualizzo che se si vuole apprendere
un’arte, si sa in partenza a chi rivolgersi, cioè al maestro d'arte,
all'artista . Il rapporto tra virtù e scienza si pone in questi termini:
la virtù, cioè la condotta buona, presuppone la scienza del bene, in
quanto non si può agire virtuosamente se non si conosce il bene verso
cui la condotta si finalizza, anzi si può asserire che la virtù si
identifica con la conoscenza-scienza del bene. Chi conosce il bene lo
attua in quanto lo conosce, è necessariamente virtuoso, non solo, ma
qualora possegga una sola virtù in effetti li possiede tutte, perché, il
bene, ha carattere universale di tutte le virtù ed è fondamento
dell’intellettualismo etico. Alle affermazioni del Prof. Fortunato :
Colui il quale è conscio della propria ignoranza è più saggio di coloro
che continuano a professare la loro sapienza Questa è la teoria
della dotta ignoranza, le cui origini si fanno risalire all’affermazione
di una pizia ( sacerdotessa dell’oracolo di Delfi ) che ebbe a dire “
Socrate è l’uomo più saggio di tutti “ , “ non dobbiamo avere
periti investigatori sapientissimi, come lo erano i Sofisti ma
consapevoli della lezione Socratica di sapere di non sapere “,
rapporto la scienza del ragionare continuo tradotta in opera fattiva :
conoscere il bene è fare il bene. Ne consegue che si commette il male
per ignoranza del bene e non per volontà esplicita: è impossibile fare
il male volontariamente, essendo impossibile volere il “proprio male “e
così il vizio è in realtà involontario. Chi sbaglia per debolezza
morale o per falso ragionamento, il male viene considerato come un bene,
e cioè perché si ritiene di riuscire a diventare felici con un certo
tipo di ragionamento: la falsa valutazione del bene si dimostra
ingannevole e ne fa le spese chi ne è responsabile e spesso questi
ultimi rimangono impuniti. |
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